Il brano del capitolo 8 del Vangelo di Matteo che la Chiesa di propone in questa quarta Domenica dopo Pentecoste sembra essere destinato a tutti quei cristiani che vestono Cristo con la propria bandiera nazionale, che credono che che la Salvezza sia rivolta ad una nazione o ad un popolo in particolare. L’episodio della guarigione del servo del centurione è una sonora smentita per i giudei del tempo di Gesù che pensavano che la Salvezza fosse solo per Israele e per i cristiani che oggi credono di essere salvati dalla lingua o dalle proprie tradizioni nazionali. Il Salvatore non guarda al luogo di nascita o al passaporto, guarda esclusivamente alla fede.
Ed ecco che un centurione romano, pagano di nascita e membro di un esercito straniero ed occupante, diventa modello di fede per tutti. Il centurione e il suo servo non si salvano per la loro nazionalità ma per la loro autentica e profonda professione di fede nel Signore. E il Signore è ammirato da questa fede e la riconosce pubblicamente: “in verità vi dico che da nessuno in Israele ho trovato una tale fede”.
Il Salvatore non riconosce solo la fede del centurione romano ma apre la Salvezza a tutti i popoli: “e vi dico che verranno molti da Oriente e da Occidente e si porranno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli”. In Cristo non c’è Oriente ed Occidente c’è solo l’amore senza confini di Dio, amore che guarisce e sana e restituisce l’umanità alla vita.
Dice il Signore: “Io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia tavola nel mio regno” (Lc 22,29-30). Il “per voi” della promessa del Salvatore è un “per voi” inclusivo, dove la condizione essenziale non è la nazionalità o il rispetto delle regole ma soltanto l’amore è la fede in Cristo.